Nel fallimento di una Stagione , le colpe non sono mai di uno solo. Vale anche per la Lazio e sarebbe grave fornire comodi alibi alla squadra e al Tecnico . Dunque, anche loro devono farsi perdonare molte cose. Ma non c’è dubbio che le colpe maggiori siano della società, cioè di Lotito, perché mai come in questo caso, la società non si articola in diversi ruoli ma si identifica esclusivamente nel suo presidente accentratore.
Quali sono queste colpe? Diverse. Partiamo dalla più vistosa. Con una superficialità imperdonabile, Lotito si è presentato all’inizio di una stagione che poteva diventare esaltante, grazie all’insperato tuffo nella Champions, con una Lazio addirittura meno forte, o se preferite, più debole, rispetto alla stagione precedente. Con una Lazio priva di Oddo e Peruzzi, che non sono stati sostituiti nemmeno decorosamente. Lotito per sfidare le grandi in Europa e soprattutto per affrontare una stagione terribile con una partita ogni tre giorni, a Delio Rossi ha regalato Scaloni e Del Nero, Meghni e Artipoli, e soprattutto Muslera. La superficialità con cui è stato affrontato l’acquisto di Carrizo e quello di Kolarov, bruciando l’unico posto disponibile per l’extracomunitario, è stata imperdonabile.
Questi errori hanno compromesso in Partenza la stagione della Lazio, che infatti è arrivata ultima nel suo girone di Champions, presentandosi in Europa anche con giocatori zoppi, e quattordicesima, con appena 19 punti, in campionato.
Ma non solo: le sconfitte hanno creato tensioni nello spogliatoio, tra il tecnico e la squadra, si è smarrito il gioco che l’anno prima era stato il vero punto di forza. Un bilancio disastroso che poi ha spinto tardivamente Lotito a correre ai ripari. Se invece che a gennaio, avesse acquistato Bianchi, Radu e compagnia ad agosto, la Lazio non sarebbe partita ad handicap e ora racconteremmo un’altra Storia . Le dimissioni del ds Sabatini a fine campagna acquisti sono state solo un espediente, nemmeno tanto geniale, per addossare ad una sola Persona responsabilità del presidente e della società.
Ma il malessere della Lazio oggi è ancora più ampio, più grave. Trattative sfibranti con i giocatori per i vari prolungamenti del contratto, una perenne tensione tra la società e i propri tesserati non hanno aiutato la squadra a crescere, a dare quanto avrebbe dovuto. E anche sotto questo aspetto il bilancio per Lotito è disastroso. Non perde occasione per esaltare le doti morali, l’attaccamento alla maglia, il senso di lealtà, come valori fondanti della sua Lazio. Eppure la squadra , dopo aver raccolto i punti salvezza e aver vinto il derby, lo ha smentito in modo inequivocabile, mollando completamente, andando in vacanza con grande anticipo e infischiandosene dei doveri e dei valori morali indicati dal suo presidente. Lotito è parso a tutti un patetico predicatore nel deserto.
Il suo fallimento poi si completa nel rapporto ormai conflittuale e insanabile con i tifosi. I quali non si identificano nel loro presidente, non si sentono rappresentati da Lotito. Sarà ingiusto, sarà sbagliato, ma in ogni caso è così. Una società di calcio non è una impresa delle pulizie, è fatta anche di passione, di adesione, di slanci e di un feeling indispensabile. In un’azienda il dipendente non è tenuto ad aderire col cuore e con passione, fa il suo lavoro e basta. I tifosi invece hanno una fede, alimentano una passione, possono anche sopportare le sconfitte ma pretendono che la squadra dia tutto e soprattutto che il presidente sia uno di loro. Oggi Lotito per la gran parte dei tifosi laziali è un estraneo, peggio, a volte, un nemico. E questo è il fallimento peggiore che ci possa essere per un presidente di calcio. E attenzione, perché dopo i tanti errori di questi mesi, Lotito potrebbe commetterne ancora un altro: licenziare Delio Rossi. Speriamo che ci risparmi almeno questo.
di Luigi Ferrajolo
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