martedì 10 giugno 2008

Delusione "arancione"


Ora ha il mondo contro ed essere normale non basta più. Donadoni dovrà inventarsi una reazione, una smorfia, un mal di pancia, una sfuriata e anche idee frizzanti e un cambio marcia perché essere educati, controllati, impermeabili all’esterno e fedeli al quieto vivere adesso è impossibile.

Lui ci prova comunque, almeno in pubblico: «Non è stata la peggior partita della mia gestione. Abbiamo commesso degli errori però non ci hanno sovrastato. Ci siamo rovinati più da soli. Il gol in fuorigioco? Non mi attacco a certe scuse». E questo piaceva di lui. Era un’immagine perfetta: l’anti Mourinho, il normal one. Meno irritabile del Lippi pre Mondiali, finalmente un italiano che non ha sempre voglia di prendersela con il prossimo. Sembrava tutto sotto controllo, sotto il suo controllo, quello dell’uomo saldo che ha ogni dettaglio chiaro in testa. Scacciapensieri. Fino al momento di fare sul serio e sgretolarsi, composto.

E’ Van Basten quello che si muove, sbraita e si infuria, l’impassibile Van Basten che fa i saltini davanti alla panchina come quando tirava i rigori e manda definitivamente al diavolo il calcio totale vincendo in contropiede. Mentre il pacato ct azzurro torna il Dunadun in un’impercettibile metamorfosi. Ancorato alla panchina come alla sua immagine tranquilla, insiste: «Adesso sostenete che non ho imbroccato le decisioni, ma se le ho prese un motivo c’era. Fino a qui dicevate il contrario, che ci prendevo. Io non sono preoccupato. Bisogna essere ottimisti».

Schiera una formazione che porta la scritta «paura» in ogni angolo, sparisce dentro una giacca che di colpo è fuori misura: maniche alte sopra i polsini e lui la sistema, la liscia, sempre più perso dentro una partita che va a rotoli. Un colpo alla cintura, una mano alla barba, è il primo a non trovare una posizione in campo, una dimensione. Sembra che ogni cosa sia gigante, soprattutto l’Olanda. La sua diagnosi è diversa: «E’ stata solo una serata no, abbiamo le prove di partite passate che hanno funzionato con questo identico schema».

Ha deciso di comprimere talento e fantasia in panchina, cerca una sicurezza che sa di rinuncia e vista da lontano somiglia più alla voglia di lobby, casa o cuccia, non si capisce: dentro Ambrosini, parte del mondo che conosce meglio. Forse quel mondo è un po’ troppo piccolo e lui stavolta ci resta incastrato. Sotto di due gol, con una formazione impantanata e il morale a pezzi non cambia neanche all’inizio del secondo tempo e se ne sta lì, nella terra di nessuno, seduto. Cerca il coraggio di muovere le pedine e infatti l’unico gesto sicuro, autoritario, è quello dei cambi. Il resto sono vibrazioni di disperazione che partono dal segno della croce malfermo fatto a inizio partita e si diffondono alla squadra. C’è un capitano in stampelle, uno in panchina e uno fra i pali, eppure manca qualcuno che comandi che ci metta il marchio e la responsabilità. Manca un carattere.

Donadoni oscilla, fisicamente. Quando esce dal suo angolo e si mette dritto, a guardare in faccia la catastrofe, sposta il peso sui talloni, arretra e non ordina. Nessuna sceneggiata trapattoniana, nessun’aria vissuta alla Lippi e mentre aggiusta una squadra che proprio non gli era venuta si capisce che vorrebbe essere da un’altra parte. Si aggrappa alla coerenza, resta fedele a se stesso: «Buffon dice che dobbiamo chiedere scusa alla gente? Non credo, non mi sembra, si è sbagliato qualcosa ma certo non l’abbiamo presa alla leggera».

Questa calma aveva conquistato i tifosi. Aveva chiaro il disegno da portare avanti: niente senatori da coccolare e uomini freschi e niente isterie su chi sì e chi no, voleva la sua nazionale, diversa, indipendente da quella dei campioni del mondo. Poi è entrato nella spirale contratto e ha deciso di giocare la carta del gentleman. Qualcuno ha iniziato a dire che si lasciava mettere i piedi in testa. L’impronta sana si è persa, è rimasta la fiducia, soprattutto nell’uomo. Ora l’unico convinto è lui: «Ma che dobbiamo fare? Le valigie? Io ho fiducia in questi ragazzi, bisogna recuperare energie fisiche e mentali e comunque ho visto una grande reazione». Solo lui.

Incassa pure un gol di testa dal più piccolo degli olandesi, la prova di un insuccesso totale. Non ha mai tirato fuori un gesto, cacciato un urlo per tentare di svegliare lo spirito mondiale che si è perso con la rabbia del 2006. Quella era gente incattivita, pronta a mordere per dimostrare il valore, questi ragazzi sono sedati, normalizzati, quasi assopiti tanto che avrebbero avuto bisogno di una scossa.

Donadoni non riesce a darla perché sta davanti a un incubo e lo mostra a tutti. Si liscia la cravatta, ancora i polsini, ancora la barba, fino a che l’arbitro non lo libera dalla figuraccia e lo consegna agli spogliatoi. Malconcio e convinto che restare normali sia una necessità.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Eh povera Italia. Quest'anno la finale sarà Olanda-Portogallo. Se il girone lo consente. Ciao


ps Ho inserito nelblog le nuove maglie della Lazio..oi dacci uno sguardo